Un articolo di Francesco Nannetti su Lavoro e Salute (www.lavoroesalute.org)
In queste settimane si è compiuto un piccolo miracolo. Sì, in quale altro modo potremmo chiamare l'inusitata e repentina attenzione che stampa e televisioni hanno dedicato alla privatizzazione dell'acqua, sancita come quasi obbligatoria dal decreto legge 135 /2009 (articolo 15) convertito in legge col voto di fiducia concesso dalla Camera il 19 Novembre scorso?
E un altro miracolo è stato udire tanti esponenti del Partito Democratico, fino a ieri artefici delle più subdole privatizzazioni – la Toscana è stata la “testa d'ariete” del fallimentare modello delle società miste pubblico-private – dichiarare l'acqua bene comune e la necessità di una gestione pubblica sottratta alle logiche del mercato.
Forse Silvio aveva ragione quando si proclamava “l'unto del Signore”: solo lui poteva riuscire in due imprese così titaniche!
Prendiamoci questi risultati, senza dimenticare che coloro che hanno voluto questa riforma dispongono della penna di schiere di “economisti liberali”, in questi giorni eccezionalmente contrastati da autorevoli voci cui è stato dato spazio (da Dacia Maraini a Paolo Rumiz, da Padre Alex Zanotelli a Bruno Gambarotta), ma che presto torneranno a imperversare incontrastati sui giornali decantando le virtù, presenti ormai solo sui loro libri, delle cosiddette “liberalizzazioni”.
E senza dimenticare che, proprio mentre il Pd compie ob torto collo questa svolta per l'acqua pubblica, proprio a Torino facciamo i conti con un Sindaco, e col suo gruppo di fedelissimi, pronto a tessere le lodi del decreto governativo affrettandosi a mostrarsi ancora più a destra del ministro Andrea Ronchi, che critica per non aver consentito lo scorporo e la vendita della proprietà delle reti (come l'acquedotto) dalla quale il bilancio comunale potrebbe trarre boccate d'ossigeno importanti quanto una tantum.
Giova a questo punto ricordare le previsioni che più ci interessano di questo decreto legge in merito all'acqua.
Inutile soffermarsi sul metodo: in quale altro Paese sarebbe pensabile che scelte strategiche come la privatizzazione dell'acqua, della gestione dei rifiuti e del trasporto pubblico locale siano “infilate” all'articolo 15 di un decreto legge “omnibus” ingannevolmente chiamato “Attuazione di obblighi comunitari” (mentre Parigi sceglie in questi giorni la gestione interamente pubblica dell'acqua cacciando le multinazionali Veolia e Suez) e poi, dopo il polverone uscito sui media, blindate da un voto di fiducia che umilierebbe qualsiasi Parlamento composto di uomini e donne liberi?
Ma tornando ai contenuti, le norme appena approvate stabiliscono che i servizi pubblici locali a rilevanza economica non potranno essere organizzati dagli Enti Locali con gli strumenti ritenuti più adeguati, ma tramite due sole modalità ordinarie:
la gara per affidare il servizio al “miglior offerente”;
l'affidamento a società mista pubblico-privata nella quale il Socio privato sia scelto con gara e in cui i soci pubblici non possano detenere più del 60% delle azioni.
Solo documentando l'esistenza di situazioni eccezionali che non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l'Ente può affidare il servizio a una società a capitale interamente pubblico partecipata dagli Enti locali affidanti (cosiddetto affidamento “in house providing”). In questo caso però la decisione è soggetta al parere preventivo, pur se non vincolante, dell'autorità Antitrust.
Non solo. Le gestioni attualmente in essere non sono fatte salve fino alla naturale scadenza.
Se così fosse, il boccone per le multinazionali e per le multiutilities non sarebbe abbastanza succulento. Perciò, è stabilito che le gestioni attualmente affidate “in house”, come Smat nella nostra Torino e come altri 63 affidamenti sul territorio nazionale, decadono automaticamente al 31 dicembre 2011, a meno che gli Enti Locali non cedano sul mercato almeno il 40% delle azioni entro la stessa data. Le società quotate in borsa – che riscuotono il favore del legislatore essendo già lanciate nel vortice della speculazione finanziaria – decadono invece alla scadenza naturale ma a condizione che entro il 2015 il capitale pubblico si riduca al 30% del totale.
Una svendita in piena regola, dunque. Per adesso si sono visti schizzare in alto i titoli di borsa delle aziende che si spartiranno la torta, nei giorni successivi all'approvazione della legge; domani, è facile prevedere che, liberandosi per il mercato ingenti quote azionarie a scadenze prefissate, la regola della domanda e dell'offerta farà precipitare il valore delle azioni, regalando ai compratori privati aziende di enorme valore per il classico “pezzo di pane”.
Si è sentito spesso ripetere che non verrebbe privatizzata l'acqua né le reti e gli impianti, ma solo affidata la gestione a privati e perciò non sarebbe intaccato il carattere pubblico del servizio. Quindi, l'ampio fronte di contestazione, dal Forum dei Movimenti per l'acqua alle associazioni ambientaliste e dei consumatori, fino a partiti, sindacati e società civile, starebbe opponendo solo “una ideologica levata di scudi contro la modernizzazione”.
In altro articolo pubblicato su questa testata ho già avuto occasione di ricordare come in realtà privatizzare la gestione dei servizi pubblici locali equivalga a un ritorno all'Ottocento, prima della riforma del governo Giolitti (questo sì, autenticamente “liberale”) che con la legge n.103 del 1903 istituì le municipalizzate per garantire servizi universali a costi accessibili. Questa scelta era in larga misura dettata da questioni di ordine sanitario: la mancanza di acqua corrente favoriva la diffusione di epidemie non limitate, per loro natura, ai ceti popolari. Si dovevano insomma assicurare ad ampie fasce della popolazione quei servizi sia di distribuzione dell'acqua, sia di fognatura, che consentissero di superare le disastrose condizioni igieniche di tante città italiane.
Oggi si afferma che la costruzione di depuratori, dove ancora mancano, oltre alle opere di captazione ancora necessarie e alla manutenzione e rifacimento di reti vetuste può essere assicurato solo dall'apporto di capitali privati. Sembra proprio che si sia dimenticata la lezione del passato, come pure quella del presente relativa ad altri servizi: si consideri la drammatica situazione in cui versa il trasporto passeggeri sulle linee dei pendolari, dopo che si è investito tutto sulle redditizie (per l'azienda) tratte ad alta velocità, appannaggio di danarose elites. La funzione del servizio pubblico non è invece proprio quella di assicurare condizioni dignitose di vita anche dove un investimento non sarebbe remunerativo secondo le logiche di mercato?
Allora anche l'artificiosa distinzione tra proprietà e gestione si svela per quello che è.
Seguendo questa logica, anche scuola e sanità pubbliche sarebbero superflue, basterebbe mantenere la proprietà pubblica di edifici e macchinari, lasciando al mercato il compito di curarci e di educare i nostri figli. Proprio quel modello che Barack Obama in America sta faticosamente tentando di correggere. E cosa direbbe una coppia di genitori se si dicesse loro: nessuno mette in discussione che questo sia vostro figlio, ma la sua gestione la affidiamo a un istituto con sede alle isole Cayman? Perché è proprio ciò che potrebbe succedere anche per l'acqua nostrana: come già accaduto in IRIDE, se si sceglierà di privatizzare Smat o di andare sul mercato, le scelte decisionali si potrebbero spostare dal capoluogo subalpino a qualche sperduto paradiso fiscale al di là dell'oceano.
I rischi che corriamo, lungi dall'essere solo teorici, sono ben individuati nella sintetica considerazione che negli anni delle privatizzazioni già effettuate nel settore idrico in Italia si sono registrati: un aumento medio tariffario del 61%, un crollo degli investimenti da circa 2 Miliardi di Euro a circa 700 Milioni di Euro annui e infine un aumento dei consumi pari al 15%. Tutti risultati assolutamente deleteri sia per le tasche di noi utenti sia per gli obiettivi di tutela qualitativa e quantitativa della risorsa idrica.
Vi capiterà di sentire influenti personaggi locali affermare, da un lato il fatto che i disastrosi risultati appena ricordati derivano dal ricorso agli affidamenti diretti a privati senza gara e dall'altro che nulla impedisce a Smat di partecipare essa stessa alla gara. Ma essi difficilmente vi ricorderanno che è la condizione di monopolio naturale dell'acquedotto e della fognatura a dar conto delle storture insite nel concetto stesso di affidarlo a un'impresa privata, più di quanto non contino errori specifici di molte pubbliche amministrazioni, che semmai hanno aggravato il quadro dimostrandosi in tanti casi (Latina e Arezzo, per citarne due eclatanti) incapaci di una benché minima tutela dei cittadini utenti se non conniventi con il gestore. Né vi ricorderanno che in caso di sconfitta nella gara, Smat dovrà sciogliersi e ciò si risolverà nella perdita probabilmente irreversibile di un patrimonio della Città e della provincia costruito coi soldi di generazioni di cittadini e di un'azienda oggi sana ed efficiente.
Con questa scelta, a prescindere dalla soddisfazione per gli esiti dell'operazione, un domani non potremo più fare a meno del mercato.
Oltre alle considerazioni appena svolte, la straordinaria importanza dell'acqua per tutte le attività umane dovrebbe suggerire prudenza ancor maggiore. Possiamo permetterci che la società privata, per elevare i profitti degli azionisti, risparmi sui costi del personale, della manutenzione, degli impianti di potabilizzazione, mettendo in discussione la qualità dell'acqua fornita?
Anche per quanto riguarda la depurazione delle acque reflue, un gestore privato pone non pochi problemi. Oggi Smat, quale gestore del ciclo idrico, controlla gli scarichi industriali conferiti alla fognatura e può concedere deroghe di concentrazione (a pagamento) per alcune sostanze inquinanti, sul presupposto che il depuratore possa comunque smaltire il carico in eccesso. Domani, dentro Smat potremmo avere quote azionarie in mano a gruppi privati che fanno capo anche alle industrie titolari degli scarichi: con conflitti d'interesse di questo tipo, quale garanzia di perseguimento del pubblico interesse potrebbe mai rimanere? Meglio fare l'interesse dei propri azionisti, e rischiare qualcuna delle spuntate italiche sanzioni se allo scarico finale nel fiume qualche parametro sforasse i limiti!
Di fronte a scenari così poco rassicuranti, il capillare lavoro di controinformazione e sensibilizzazione del Forum dei Movimenti per l'acqua ha avuto il merito di far maturare in tante amministrazioni locali e nelle persone una cultura del bene comune acqua e oggi offre gli strumenti anche giuridici per consentire a Comuni, Province e Regioni di sottrarre l'acqua dai servizi mercificabili e inserire negli Statuti il principio della gestione pubblica e, ove possibile, quello del quantitativo minimo vitale da garantire ad ogni cittadino.
Anche a Torino il Comitato Acqua Pubblica1 prosegue una frenetica attività che si sviluppa su più fronti:
consegnata al Comune nel giugno scorso la proposta di delibera di iniziativa popolare sottoscritta da ben 12.000 cittadini (“doppiando” il minimo necessario di 5.000), stiamo sensibilizzando le dieci Circoscrizioni affinché esprimano parere favorevole, come hanno già fatto cinque di esse;
abbiamo presentato il 2 dicembre scorso la proposta di deliberazione avvalendoci del diritto di tribuna previsto dallo Statuto comunale e ci apprestiamo a discuterla nelle Commissioni consiliari;
continua in queste settimane la raccolta delle firme per presentare anche alla provincia, che detiene il 25% del peso decisionale nell'Autorità d'Ambito ATO3, analoga proposta di modifica statutaria;
stiamo promuovendo o supportando iniziative anche nei comuni della Cintura, tra i quali Rivalta di Torino ha già deliberato la modifica statutaria che definisce il servizio idrico integrato privo di scopo di lucro.
Con l'aiuto dei lettori e dei cittadini e cittadine di Torino e della provincia, il nostro obiettivo è fare in modo che, questa volta, i Consiglieri comunali (che sono infine coloro che ci rappresentano) ascoltino la voce del variopinto e determinato popolo dell'acqua e non quella di grandi banche, finanziarie e industriali pronti a mettere le mani sulla nostra azienda Smat.
E perché ciò accada è necessaria, una volta di più, la partecipazione di tutti.
Francesco Nannetti
Comitato Acqua Pubblica Torino