Il Comitato Acqua Pubblica Torino adotta l'articolo 43 della Costituzione della Repubblica Italiana
Il Comitato Acqua Pubblica Torino adotta l'articolo 43 della Costituzione della Repubblica Italiana |
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Il Comitato Acqua Pubblica Torino aderisce al concorso "Adotta un articolo della Costituzione" promosso dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia - Comitato provinciale di Torino.
ARTICOLO 43 DELLA COSTITUZIONE
A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
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La materia dei servizi pubblici trova nella Costituzione almeno due importanti riferimenti: l’art. 41 e l’art. 43, inseriti nel Titolo III dedicato ai rapporti economici, sanciscono rispettivamente la libera iniziativa economica privata e la possibilità di riservare, in specifiche circostanze, determinate attività allo Stato. In queste norme i costituenti hanno in sostanza definito lo spazio del pubblico e del privato, di quelle due dimensioni cioè che devono ritenersi fondamentali per la vita di una democrazia, poiché implicano la forza della res publica e la libera autodeterminazione dei singoli; nel definire questi spazi, si tracciano i limiti oltre cui l’intervento del pubblico può essere considerato invadente e quello del privato minaccioso per la struttura democratica.
Detto questo, è anche doveroso sottolineare, rinunciando ad ogni infatuazione nei confronti dell’uno o dell’altro modello, che la nostra Carta fondamentale non contrappone il pubblico al privato, né tanto meno va a sancirne il primato: il contesto che ha visto nascere la Costituzione è stato quello delle economie regolate, figlie di fallimenti del mercato particolarmente gravi, produttori di conflitti sociali e disoccupazione; nonostante questo, definire la Costituzione come un testo statalista o dirigista porterebbe a una lettura superficiale della stessa e a sottovalutarne la portata decisamente innovativa rispetto allo Statuto Albertino, incarnata dalla centralità riservata all’individuo.
Infatti, i costituenti hanno stabilito nell’articolo 41 che “l’iniziativa economica privata è libera” e, rinunciando in questo modo sia al modello economico di stampo comunista, sia a quello ispirato al liberalismo puro, hanno di fatto aperto a un sistema di tipo capitalistico fondato sul mercato e sul libero scambio. In questa cornice il privato può muoversi liberamente in condizioni di parità e concorrenza sia con altri soggetti privati sia con i poteri pubblici, i quali possono operare come un imprenditore, a patto di coordinare le esigenze di sviluppo economico con quelle di giustizia sociale e di sviluppo della persona, così da raggiungere risultati socialmente apprezzabili.
Poste le garanzie operative, non manca nell’art. 41 la definizione di limiti e condizioni. In particolare, il secondo comma dell’articolo in questione prevede che l’attività privata non possa svilupparsi in contrasto con l’utilità sociale né recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. Il terzo comma concretizza tali condizioni, introducendo un’attività di controllo finalizzata al coordinamento dell’attività economica pubblica e privata con i fini sociali.
L’altra norma interessante in materia di servizi pubblici è l’articolo 43:
A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
L’intervento dello Stato previsto da questa disposizione è subordinato alla sussistenza di fini di utilità generale, i quali consentono che determinate attività siano riservate ai poteri pubblici ab origine o successivamente, a seguito di un’espropriazione e salvo indennizzo. Le imprese che si occupano di servizi pubblici essenziali, fonti di energia o che operano in situazioni di monopolio, rappresentando un preminente interesse generale, possono essere gestite anche da enti pubblici o da comunità di utenti o di lavoratori.
L’art. 43 introduce quindi il cosiddetto regime della riserva, ispirato, nelle intenzioni dell’Assemblea costituente, a creare un sistema economico improntato alle ragioni di solidarietà e coesione sociale, in cui lo Stato potesse essere non solo un mero regolatore, ma un protagonista attivo.
Le imprese che possono subire questa destinazione vincolata si occupano di fonti di energia o servizi pubblici essenziali, oppure operano in situazioni di monopolio; per la definizione dei servizi pubblici essenziali, il testo di riferimento è la legge n. 146 del 1990 e successive modifiche, la quale disciplina il diritto di sciopero in questo settore. Ai fini di tale legge, si considerano servizi pubblici essenziali “quelli volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione”.
Di conseguenza, quelle attività finalizzate al soddisfacimento delle esigenze della collettività, come ad es. il trasporto ferroviario o l’erogazione del gas, vengono riservate al pubblico nella convinzione che una gestione privata non possa prescindere da finalità lucrative: così, la sentenza 59 del 1960 della Corte Costituzionale qualificava la diffusione radiotelevisiva sia come un’attività da svolgersi in regime di monopolio, sia come dotata dei caratteri di preminente interesse generale idonei a consentire l’avocazione di tali servizi allo Stato.
Sino alla fine degli anni ‘80, l’art. 43 ha conosciuto un’applicazione diffusa, che si concretizzava in gestioni pubbliche dei servizi dirette o indirette; con la prima modalità, lo Stato impiegava un proprio organo per l'amministrazione delle attività riservate, mentre con la seconda la gestione era affidata nelle mani di un ente pubblico1. Un altro strumento utilizzato è stato quello delle concessioni, per cui lo Stato assegnava ad una società per azioni organizzata secondo un modello imprenditoriale la gestione, mantenendo i poteri di indirizzo e controllo.
Queste società erano per lo più a partecipazione pubblica necessaria, giacché diversi provvedimenti amministrativi limitavano la circolazioni delle azioni, assegnano la partecipazione totalitaria delle stesse all’azionista pubblico.
Il punto di svolta è ormai noto: le privatizzazioni degli anni ‘80 incidono sulla portata dell’art. 43 che diventa una norma eccezionale, a fronte del generale paradigma concorrenziale: il pubblico diventa un regolatore e il suo intervento deve limitarsi alle ipotesi di fallimento del mercato e ciò sebbene tale norma valorizzi il carattere di pubblica utilità dei servizi, se non addirittura la loro indispensabilità. Il regime di riserva a favore di imprese nazionalizzate voleva infatti garantire che i servizi fossero offerti costantemente nel tempo, in modo adeguato e a prezzi ragionevoli.
C'è dunque da chiedersi quale sia oggi la reale portata dell'art. 43, anche alla luce delle disposizioni comunitarie nel frattempo intervenute. E' possibile tracciare un parallelo tra questa norma e l'art. 106 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE): entrambe ammettono che i servizi pubblici possano essere interessati da schemi concorrenziali, i quali però incontrano il limite delle specifica missione che i servizi possono rivestire.
In questo quadro, l’effettività dell’art. 43 sembrerebbe trovare riscatto nell'art. 16 del Trattato Ce e nell'art. 36 della Carta Europea dei diritti fondamentali, le quali evidenziano il ruolo fondamentale del concetto di coesione economico - sociale, il quale dovrebbe guidare le politiche pubbliche. Con questo concetto infatti si bilancia il mercato e la concorrenza con il principio di uguaglianza sostanziale e con quello di solidarietà, i quali trovano attuazioni concreta nella parità di trattamento e nella perequazione tariffaria. Questa interpretazione delle norme consente di ritenere che per quei servizi pubblici che contribuiscono alla realizzazione della coesione economico - sociale siano derogabili le regole di concorrenza, ogni qual volta il mercato non sia uno strumento sufficiente al raggiungimento e al mantenimento di determinati obiettivi sociali.
Adottando questa prospettiva interpretativa, l’art. 43 recupera di effettività, per configurarsi come la disciplina valida per quelle attività economiche che rispondono a interessi generali e che hanno un alto impatto sociale; l'intervento dello Stato in caso di insufficienza del mercato è da considerarsi eccezionale ma pienamente legittimo ai sensi del diritto comunitario.
Comitato Acqua Pubblica Torino
1 I due esempi di gestione sono ben rappresentati dalle vicende delle Ferrovie dello Stato: esse infatti sono state amministrate sino al 1985 da un'azienda autonoma del Ministero dei Trasporti; dopo questa data, si è passati all'affidamento ad un ente pubblico, per poi arrivare nel 1992 alla trasformazione in una società per azioni.